mercoledì 31 ottobre 2007

IL NUOVO DI EDMONDO BERSELLI


E' il più bravo di tutti. Ed ora, torna in libreria, con un volume che so già mi piacerà quanto e forse più degli altri. Non ne so nulla, fatta salva un'anticipazione letta sull'Espresso.
Ne conosco il titolo - "Adulti con riserva. Com'era allegra l'Italia prima del '68" - e la casa editrice: Mondadori.
E lui?
Lui è Edmondo Berselli, che mi aveva già deliziato con "Il più mancino dei tiri" e "Venerati maestri" (ve li raccomando!).
Berselli è autore di scrittura colta e grassa, ebanista di legni stagionati e tirati a lucido, ragionatore reazionario per quel che po' che basta.
Mi viene in mente, descrivendolo, che ogni giudizio contiene i germi del pregiudizio altrui.
Bene.
Se non apprezzate quelle virtù rabelaisiennes, e siete affezionati a certe modulazioni asinine della lingua e del pensiero - soggetto, predicato e complemento; tesi, antitesi e sintesi; logica e caos - Berselli non fa per voi. Tenetevene alla larga.

martedì 30 ottobre 2007

DOPO I GIORNALISTI, GLI HACKERS


In un tempo non lontano, ai giornalisti si sostituiranno i nipotini degli hackers, e magari li chiameremo seekers, truth seekers, cercatori di verità.
Cresce il numero d'informazioni che i pochi possono contendere ai molti, e al tema della difesa della Privacy s'aggiunge quello dell'impossibilità di tutelare i diritti individuali, nel gran mare di Internet, solcato da pirati in doppiopetto.
Le prede son destinate a crescere, per via dell'abolizione della moneta, e della sua sostituzione con i pagamenti telematici; della progressione inarrestabile verso il voto elettronico (embrione della democrazia elettronica); dell'accumulazione di dati sensibili da parte di soggetti economici ed istituzionali.
Ai giornalisti - a quei lavoratori intellettuali che hanno fin qui provato, bene o male, a tutelare le libertà - succederanno i possessori dei saperi tecnici indispensabili alla conservazione delle libertà residue.

lunedì 29 ottobre 2007

LE STRAGI IMPERTINENTI


Il giornale che leggo con maggiore interesse ogni mattina, il Corriere della Sera, e che per questo potrei definire il mio giornale, ha titolato oggi sulle stragi di clandestini consumatesi dinanzi alle nostre coste.
La scelta del Direttore di dedicare il titolo principale del suo e nostro quotidiano ad un argomento così scomodo, e impertinente (nei confronti della mediocrità del dibattito politico e culturale italiano), è esattamente ciò che possiamo aspettarci da Paolo Mieli. Che le banche ce lo conservino a lungo.

LE VERITA' NASCOSTE


I libri non cambiano il mondo. Raccontano il cambiamento, però, e in certe occasioni, provano ad anticiparlo.
Il carattere visionario di certe letterature è dunque solo apparente, e il profetismo di certi autori è solo un'etichetta.
E' invece il frutto di un ragionamento, di un divertimento sui segni che anticipano, in ogni epoca, i cambiamenti.
Ne deriverebbe, se tutto ciò fosse vero, che non vi è, né può essere invocata, una supremazia del realismo sulle altre forme del narrare, e che il cosiddetto impegno è una forma volgare di quella più alta forma di narrazione che legge la realtà e ne riproduce una differente, per restituire - con la manipolazione - una verità che si è nascosta.

venerdì 26 ottobre 2007

I DIAVOLI: PRIMA TAPPA, SIRACUSA


Ho chiesto alla Rizzoli, la casa editrice del mio nuovo romanzo, I Diavoli di Melùsa, di collaborare con Legambiente e di aggiungere, alle ordinarie presentazioni del libro, alcuni eventi in quei luoghi d'Italia nei quali le devastazioni ambientali hanno provocato maggior sofferenza: degli incontri che, a partire dal romanzo, raccontino del Passaggio, di quel tempo in cui si scelse di rinunciare al Passato in nome di un Futuro indistinto.
Inizieremo domani pomeriggio, a Siracusa: luogo simbolo, al centro del Val di Noto.
Nella Sicilia Orientale, e per la precisione da Gela verso Oriente, sono tanti i luoghi da risanare: Augusta, Melilli, Priolo, la stessa Gela e tanti altri.
Un tempo, laddove ora sorgono gli stabilimenti petrolchimici, le raffinerie, c'erano le dune modulate dal vento, le spiagge assolate, i casali di pesca, le campagne coltivate a grano, le masserie.
Mi hanno raccontato che, per un soffio, per un alito miracoloso, la Sicilia non ha ceduto, alle compagnie multinazionali, anche le spiagge di Marzamemi e di San Vito Lo Capo. Era tutto pronto. Stabilimenti, strade e speculazioni. E poi, la solita trafila: inquinamento delle falde, sversamenti a mare, modificazioni del dna, aborti, tumori.
Ci saranno persone diverse, domani pomeriggio, nella Sala dedicata ad Archimede, al Palazzo Comunale - per ruolo, cultura, convinzioni - unite dalla consapevolezza che l'onore perduto della Sicilia si riacquista solo a partire dal risanamento ambientale.
Un popolo che perde l'aria che respira, la terra sulla quale cammina, i colori degli alberi e l'odore del mare, non sa più distinguere tra il bene e il male, ed è preda del Caos, della violenza.
Vale per la Sicilia, vale per il Pianeta.
Siracusa è la prima tappa di questo viaggio, che toccherà Piombino, Porto Marghera, Taranto. E altre città.

ALCAMO, I LIBRI E LE ETICHETTE


Ho partecipato qualche giorno fa al Festival di Letteratura Cieli Letterari di Alcamo, promosso dalla Pro Loco e culminato, domenica 21 ottobre, nel Primo premio letterario intitolato a Ciullo d'Alcamo (Cielo, si diceva nelle nostre scuole).
Il programma mi ha regalato una conversazione con Santo Piazzese, amato autore palermitano ed eccellente osservatore della nostra città.
Un anno fa, l'ideatore e organizzatore della Rassegna, Vito Lanzarone, che di mestiere fa il libraio, aveva promosso degli incontri letterari nelle scuole di Alcamo. E mi aveva della sua idea di far fare, a quella rete di relazioni messa su con fatica ed entusiasmo, per la sua città, un salto di qualità.
Mi pare che ci sia riuscito.
Lanzarone ha coinvolto tanti autori, più o meno famosi, e in tanti hanno assistito alle manifestazioni, lettori alcamesi e delle città vicine; da Palermo c'è chi ha deciso di far qualche chilometro in più del solito, la sera, per assistere agli incontri.
Ai corsi di scrittura, poi, si sono iscritti in 180.
Domenica, a conclusione della manifestazione, la proiezione del bel documentario di Floriano Franzetti (A proposito di Palermo: gli scrittori del mistero) e dell'intervista, in video, ad Andrea Camilleri, e ancora, la premiazione della casa editrice Sellerio (con la consegna del premio nelle mani di Antonio Sellerio).
Tra i tanti scrittori, vorrei ricordarne uno soltanto (oltre al Maestro empedoclino): Nino Vetri, che ha da poco pubblicato, proprio con Sellerio, il suo primo libro: Le ultime ore dei miei occhiali. Non è un romanzo, e non è un noir. E' fuori da queste ed altre categorie. Ed è molto bello, soprattutto.
Per Alcamo, è una chance in più, quest'attivismo culturale, che aveva già un punto di forza in Giuseppe Cutino, regista teatrale e direttore di Artisti per Alcamo. E' la conferma che in provincia, talvolta, si può far meglio che nelle città più grandi.
Potrei finire qua, se non dovessi dar conto di una notazione - in tempi di magra per il parastato, un'istituzione che sa d'archeologia come la Pro Loco suscita un Amarcord dell'Italietta alla Fabrizi e Billi & Riva - e di un piccolo appello: perché non la finiamo con l'etichetta dei noiristi palermitani? Sarà pure elegante, il nero, ma non puoi indossarlo ogni giorno, in ogni stagione. Franzetti ha usato la dizione scrittori del mistero. Mi pare azzeccata.

mercoledì 24 ottobre 2007

ANCORA SU EBREI E INQUISIZIONE


Sul Post dell'otto d'ottobre, ho scritto che "L'Università di Palermo ha promosso una bella iniziativa. Le Vie dei Tesori. Ma ha anche perso una buona occasione". (Quella di dar vita ad) "una testimonianza concreta e visibile" (dello sterminio del popolo ebraico che per secoli visse in Sicilia). "Una sorta di Yad Vashem. Anche qui, anche a Palermo. Il Museo dell'Inquisizione progettato dall'Università è un Museo dedicato alla memoria dei carnefici. Mi piacerebbe che, prima di quella, si pensasse alla memoria delle loro vittime".
Su queste ultime due frasi, e sulla perdita di "una buona occasione", ho ricevuto delle critiche, garbatissime ma ferme, da parte di una delle promotrici delle Vie dei Tesori (un'iniziativa che, peraltro, io ritengo complessivamente ben fatta e capace di suscitare altre buone iniziative).
Mi è stato detto: non hai (non ho, ndr) tenuto conto di una conferenza fatta sullo sterminio e sulla cacciata degli ebrei della Sicilia, degli studi che si stanno promuovendo sull'argomento e di un convegno che si terrà nel marzo prossimo.
Faccio dunque pubblica ammenda. Il 13 ottobre si è effettivamente tenuta una conferenza sul tema. Una dei due relatori ad un incontro battezzato "I segreti dell'Inquisizione", Maria Sofia Messana, si è soffermata sulla questione. Però. Io ho scritto quel Post 5 giorni prima dello svolgimento della conferenza. E nulla, nel programma delle manifestazioni, lasciava presagire che di quell'argomento la relatrice avrebbe trattato. Così come, nel programma, nulla si dice a proposito di: ebrei, giudei, israeliti, stirpe di Mosé, figli di David, marrani, conversi. Salvo un accenno, più generale, nel tema di un altro dibattito: "Sabato 20 ottobre - ore 19.00 - Cripta delle Repentite: Santi, pentiti, convertiti (Giuffrida, Montanari, Salerno, Torcivia)". I convertiti (ebrei ed altri). I conversos. Non avendo seguito tutti i dibattiti, non sapevo si fosse discusso dell'argomento. In metà di un incontro su 39. Ripeto. Faccio pubblica ammenda.
In più - sia sull'occasione perduta sia sul tema: Il Museo dell'Inquisizione o delle vittime dell'Inquisizione? - vorrei aggiungere. Si è sempre parlato, finora, a proposito della destinazione futura dell'edificio annesso al palazzo che fu della "Santa Inquisizione", lo Steri (e cioè delle "Carceri della Santa Inquisizione"), della volontà di dar vita ad un "Museo dell'Inquisizione". Con semplificazione giornalistica, certo. Mai smentita, però.
Proponevo che - con un "Museo delle vittime dell'Inquisizione", e con l'arbitraria esaltazione di una parte della più complessa storia dell'Inquisizione medesima: la vicenda ebraica - si raccontasse la vicenda di quella Comunità laddove resiste ancora qualche segno della sua presenza. Gli altri segni, a Palermo, sono stati doviziosamente cancellati: le case, le botteghe, le sinagoghe.
Preciso pure ciò che dovrebbe esser chiarissimo (il malinteso è sempre in agguato). Con la frase "Il Museo dell'Inquisizione progettato dall'Università è un Museo dedicato alla memoria dei carnefici" volevo dire solo quel che avevo scritto: un Museo "dell'Inquisizione" è dedicato all'Inquisizione, e dunque alla sua storia (orribile), ai suoi metodi di persuasione (diabolici), alla sua intenzionale volontà di sterminio. Non attribuivo pertanto a questa volontà di dedicarlo all'Inquisizione, alcun significato che non fosse quello sano e condivisibile d'indurre alla ripulsa morale i visitatori.
Il punto è: mi sembra uno spreco.
Avevo chiesto che si privilegiasse la memoria delle vittime non per un'oziosa disquisizione nominalistica (del genere politically correct), bensì per rimediare, sia pure con gravissimo ritardo, ad un'antica colpa della nostra Comunità (di Palermo e non della sola Università): la cancellazione della Catastrofe, della Shoah, che nella nostra terra colpì la Comunità ebraica: la ghettizzazione prima, e lo sterminio o la cacciata di chi restava, poi.
Nelle nostre scuole, di questo non si parla. Sappiamo degli arabi, dei normanni. E più indietro, dei fenici e dei romani. Più avanti, dei francesi e degli spagnoli. Qualcosa sappiamo a proposito dei bizantini. Ma degli ebrei? Delle città ebraiche fondate in Sicilia? Salemi non vi ricorda forse Shalom? E sappiamo forse della convivenza tra arabi ed ebrei? E del declino di quello spirito, che indusse a formidabili atti di violenza, e d'indifferenza?
L'occasione di ricordare è persa, se è persa, dall'intera Comunità di Palermo, ancora una volta. La mia proposta, però, testardamente, resta in piedi: un Museo delle vittime dell'Inquisizione, che racconti, attraverso ciò che è raffigurato dentro quel Palazzo, quel che avvenne fuori, tra le strade e i vicoli della città, a Palermo e a Trapani e altrove in Sicilia.
La nemesi è in questo. Nel luogo che servì a cancellare, sono rimaste le ultime tracce di ciò che si voleva rassegnare all'oblìo.

lunedì 22 ottobre 2007

IL CORAGGIO DELL'OCCIDENTE


Ci vuol coraggio, per provare a guardarsi intorno con una certa onestà intellettuale.
Il Presidente iraniano dice che Israele, "l'Entità", va cancellata.
Il rappresentante iraniano ai negoziati internazionali sull'atomica si licenzia (su richiesta che dall'alto arriva, immaginiamo), perché troppo moderato.
Gli esperti dell'Aiea sostengono che tra 5, 8 anni al massimo, l'Iran avrà la sua atomica.
Gli Stati Uniti non vogliono rimanere alla finestra, e studiano un attacco convenzionale dall'alto (bombardamenti), ultimo passo prima della guerra sul terreno.
E così, con l'aggiunta dell'Iran dilagherebbe quel conflitto che già oggi coinvolge Afghanistan, Iraq e Siria (forse pronta al gran passo, per via dell'entente con l'Iran svelata da Israele e del primo atto di guerra sul suo territorio: il bombardamento di siti nucleari proprio da parte di Israele).
Un allargamento che rischia di coinvolgere altri Paesi - dalla Turchia all'Egitto - e di destabilizzare ulteriormente paesi più piccoli ma non meno importanti, Arabia Saudita in testa.
Ci vuol coraggio a restar tranquilli, mentre si studia - a Washington, Mosca, Pechino, Teheran, Damasco, Ankara, Il Cairo - sullo svolgimento di una possibile Terza Guerra Mondiale.
Non son tra quelli che difendono i cattivi - Ahmadinejad, i Talebani, Osama e Al Qaeda - e se la prendono con l'Occidente e le sue colpe coloniali ed imperiali.
Ma, per la miseria, vorrei che fosse tutto un brutto sogno.
Non c'è un luogo in cui ragionar di queste cose: l'Onu è preda di interessi oscuri e trasversali, e non vi è diplomazia che tenga, dinanzi alla scommessa folle di alcuni, dico di Cina e Russia, innanzitutto, di far saltare il banco e prender tutto il piatto, costi quel che costi.
E così, nel bel mezzo di questo caos, la Russia annuncia il riarmo, la Cina sostiene il regime assassino della Birmania, ed entrambi impediscono ogni pressione sui fondamentalisti islamici che costituisca un'alternativa alla guerra.
Negli Stati Uniti, infine, è bene cominciare a dircelo, si son commessi errori, si son dette bugie, si son fatte immonde speculazioni.
La risposta? Sarebbe l'Europa, se fosse in grado di darsi un'autonoma politica estera (forse con nuove istituzioni comunitarie), e se fosse in grado d'intrecciare nuove e inedite alleanze, a partire dal continente africano e da quello asiatico; se fosse in grado d'indurre il nostro sistema occidentale, Europa e Americhe, ad un'effettiva apertura alla collaborazione sui temi autentici della cooperazione allo sviluppo sostenibile.
Non è populismo. E' buon senso.

sabato 20 ottobre 2007

SALVIAMO I BLOG


Nessuno può dire che un altro è un ladro o un assassino: a meno che quello non lo sia davvero, e che ciò non risulti da una sentenza passata in giudicato.
Nessuno può insultare il prossimo, denigrarlo, provocargli un danno esistenziale, o economico: a parole, su carta, su un Blog.
E dunque, che servano delle regole e delle responsabilità è fuori discussione.
Quel che davvero non va, nel disegno di legge del governo sulla registrazione dei Blog come testate giornalistiche, è la previsione di norme autorizzazioni procedure.
Il fatto è che il Blog si costruisce semplicemente: si progetta, si monta, si arricchisce quotidianamente.
In Italia come altrove, l'autore è solo dinanzi al suo computer.
E in Italia, far qualcosa in modo semplice è davvero un fatto eccezionale.
Se ci si dovesse scontrare con la Burocrazia, sarebbe la fine d'ogni entusiasmo.
Il Blog è l'ultimo spazio di libertà che ci è concesso: non dall'arroganza dei politici (che hanno tante armi per ridurre qualcuno al silenzio), bensì dall'inerzia del burocrate.

giovedì 18 ottobre 2007

SCRITTORI DEL MISTERO


Bisogna portarsi appresso i propri oggetti incompresi, ciò che per la strada abbiamo raccolto senza averne intuito il senso o l'utilità.
Così, l'estate scorsa, è capitato d'inciampare in una polemica sul tradimento degli scrittori "noir" palermitani: della loro città.
Molto di buono è giunto da quell'oggetto incompreso.
C'è un documentario, di Floriano Franzetti e Chiara Lo Cascio, che opportunamente è stato dedicato agli Scrittori del Mistero: palermitani, di nessuna scuola, e di nessun tradimento.
Dal quale, ricavo che vi è almeno un fraintendimento visibile, orbitante intorno a quell'oggetto incompreso.
Se si debba scrivere "per" qualcosa, o "di" qualcosa.
Doris Lessing afferma che nel dar vita ad un Manifesto Politico, si uccide il romanzo.

In Friendly Fire c'è il sito della società di produzione di Franzetti e Lo Cascio, La Tulipe Noire.

ABBIAMO BISOGNO DI EROI?


Ci sono delle frasi che per la loro apoditticità mi hanno sempre attratto.
Ho girato loro intorno, come un'ape sul favo.
Mi sono avvicinato loro, provando a scovare un appiglio logico, un barlume di contraddizione ed una luce che la risolvesse: giacché la perfezione del ragionamento è nel superamento della contraddizione, e non nella sua assenza (il resto è Fede).
"Felice la terra che non ha bisogno di eroi" è una di quelle frasi: Bertolt Brecht la introduce in un dialogo della sua "Vita di Galileo".
Suggestiva.
Oscura.
A me ha sempre fatto pensare ad una "Terra" grigia, priva di emozioni, di vittorie eroiche, per l'appunto, del Bene sul Male: mi pareva che dietro la sparizione di quel conflitto, incarnato da eroi ed anti eroi, si nascondesse la scomparsa dei principii che quegli antagonisti incarnavano.
Ci penso ogni qual volta m'imbatto nelle nostre paurose definizioni della Paura.
E mi dico: fortunati noi, per i nostri eroi.

lunedì 8 ottobre 2007

EBREI E INQUISIZIONE, A PALERMO



L'Università di Palermo ha promosso una bella iniziativa. Le Vie dei Tesori.
Ma ha anche perso una buona occasione.
Sono stati restituiti ai cittadini luoghi e testimonianze della loro storia. Tanti e accurati sono stati i restauri.
Nella corte del Palazzo Chiaramonte, dello Steri, sorge una costruzione che fino al secolo scorso allo Steri era collegata: in quel complesso, l'Inquisizione aveva avuto il suo tribunale e le sue prigioni.
Una scala, ed era quella di Cisneros (ne scrive Sciascia, nel suo Morte dell'Inquisitore), conduceva dall'aula delle udienze alle celle.
Le mura delle celle conservano ancora alcuni dei graffiti e dei disegni lasciati dai tanti prigionieri che le occuparono: i colori si devono all'urina, allo sperma, alle feci, al sangue, e a quel poco che i prigionieri potevano comprare dai loro aguzzini.
Ai ritrovamenti commentati da Giuseppe Pitré, se ne sono ora aggiunti degli altri.
Tanti dei prigionieri erano colpevoli della loro fede. Erano ebrei, o conversi (conversos); parte di quella ricca e dotta comunità che a Palermo fiorì insieme agli arabi, ai bizantini e ai nativi. E in Sicilia, v'erano città che contavano in decine di migliaia gli ebrei.
In quei segni, tracciati faticosamente sugli intonaci, c'è una parte di quella storia sanguinosa, che a Palermo è stata rimossa, e non solo con la demolizione della nostra Giudecca (dalle parti di via del Giardinaccio) e delle tante Sinagoghe (solo di una citazione, contenuta nel disegno architettonico dell'archivio storico, siamo debitori: a Damiani Almeyda).
L'editto del 1492 venne qui ritardato, nella sua concreta attuazione. Poi, anche a Palermo, si compì la cacciata degli ebrei.
Credo che si dovrebbe ricordare quella parte della nostra storia. Con una testimonianza concreta e visibile. Una sorta di Yad Vashem. Anche qui, anche a Palermo.
Il Museo dell'Inquisizione progettato dall'Università è un Museo dedicato alla memoria dei carnefici.
Mi piacerebbe che, prima di quella, si pensasse alla memoria delle loro vittime.

SCIASCIA, STENDHAL, NAVARRO


A proposito di Leonardo Sciascia, avevo scritto: "Tra la terra e il cielo, tra il Mistero e la Luce, Sciascia non ha mai scelto per davvero. E in questa contrapposizione, in questa dialettica, ha scritto del suo meglio.
Se proprio dobbiamo celebrar qualcosa, è il funerale del nostro rimpianto: di un intellettuale capace di tagliare ogni nodo, con una spada.
"A Sciascia, che scrisse di molte eresìe, siamo debitori, in fondo, di una sola grande lezione, che potremmo sintetizzare così, con parole nostre: Non c'è Ragione senza Memoria. Nella conoscenza di quel che è stato, e nella libertà, che un autore può concedersi, di plasmar la storia, è la comprensione del presente".

Ora, sono trascorsi pochi giorni, nell'introduzione di Natale Tedesco alle "Storielle siciliane" di Emanuele Navarro della Miraglia (pubblicate da Sellerio nella Collana "Biblioteca siciliana di Storia e Letteratura"), leggo un giudizio di Navarro su Stendhal (e Tedesco lo giudica adattissimo allo stesso Navarro): "Pretendeva di agire secondo i dettami della ragione, ma fu perennemente dominato dalla fantasia e fece ogni cosa per entusiasmo".

La frase s'attaglia a Sciascia come a Stendhal e a Navarro. E fra i tre c'è un filo robustissimo. Tutto si tiene, come sempre.

giovedì 4 ottobre 2007

I FUNERALI DEL NOSTRO RIMPIANTO


Pensavo che fosse oramai giunto il tempo di celebrare i funerali di Leonardo Sciascia: quelli del Mito, dopo quelli dell'uomo. E lo pensavo da lettore di Leonardo Sciascia. Il Contesto, per spiegarmi meglio, ritenevo fosse stato spogliato, con gli anni, di quel contesto culturale (e politico) che lo aveva reso assai provocatorio nei confronti dell'establishment comunista, e democristiano a ben pensarci (oggi diremmo Casta), e che pure l'aveva reso comprensibile, agli occhi dei lettori. E su quel filone, ritenevo fossero incastonati anche altri scritti: giornalistici, per lo più.
Pensavo che occorresse recuperare l'altro Sciascia, ancora vivissimo: quello, anzitutto, de Il Consiglio d'Egitto (e dell'arabica impostura dell'Abate Vella, che, se non fosse stata struccata dall'austriaco Hager, avrebbe forse comportato la fine anticipata del latifondismo nell'Isola); e quello delle Parrocchie di Regalpetra, di Nero su Nero, del Giorno della Civetta, delle Feste Popolari: lo scrittore terragno, legato alle tradizioni profonde della Sicilia, a danno del pamphlettista ipocritamente rimpianto (ad ogni cantone di giornale, fino a pochi anni fa).
Lo pensavo, e lo penso ancora. Tra l'imperfetto ed il presente, però, c'è un frammento, che impedisce a quel pensiero di girar bene come dovrebbe: il frammento di un diverso ragionamento, scacciato, per affetto, e rientrato a forza.
Tra la terra e il cielo, tra il Mistero e la Luce, Sciascia non ha mai scelto per davvero. E in questa contrapposizione, in questa dialettica, ha scritto del suo meglio.
Se proprio dobbiamo celebrar qualcosa, è il funerale del nostro rimpianto: di un intellettuale capace di tagliare ogni nodo, con una spada.
A Sciascia, che scrisse di molte eresìe, siamo debitori, in fondo, di una sola grande lezione, che potremmo sintetizzare così, con parole nostre: Non c'è Ragione senza Memoria. Nella conoscenza di quel che è stato, e nella libertà, che un autore può concedersi, di plasmar la storia, è la comprensione del presente.