martedì 15 gennaio 2008

I LIBRI, LA MEMORIA, I CRITICI

Leggo più di storia che d'altro, oramai.
I romanzi che amo di più, giacciono negli scaffali ordinati del già letto, e riletto, e raramente trovo, sui banchi delle librerie, umidi come di pesce, ai miei occhi, un esemplare che riesca davvero ad attrarmi: che sappia promettere, e non dico mantenere.
La spiegazione non può esser però nell'indisponibilità di buoni romanzi. Ce ne devono esser molti, per forza, che mi sfuggono.
Dev'esser maturata in me una scelta segreta, allora. E se provo a ragionarci su, forse intuisco di che si tratta.
Sono trascorsi quarant'anni dal terremoto del Belice. Era una Sicilia ancora molto antica, quella che fu spazzata via dai due sciami di scosse che distrussero Gibellina, Montevago, Poggioreale, Salaparuta (e che danneggiarono gravemente Calatafimi, Camporeale, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Menfi, Partanna, Salemi, Santa Margherita Belice, Santa Ninfa, Sciacca, Vita).
Io me li immagino i volti dei contadini e delle loro famiglie, sorpresi da quell'Apocalisse. Me li immagino intorno alla loro povera tavola imbandita. Quella domenica. Era il 14 gennaio del 1968. Erano i figli della rassegnazione, e i nipoti della sottomissione feudale. E vorrei raccontare quel che accadde. I fatti minuti di quelle ore. E così facendo, nuotare contro la corrente dei miei tempi. Nei quali, di frequente si legge di esistenze miserabili, espiantate dal corpo della Memoria, di questa nostra contemporaneità così acutamente predetta dal mio amatissimo Pier Paolo Pasolini.
Credo che ci sia un fondo di malinteso in tante polemiche sul ruolo della letteratura, e persino sul linguaggio di numerosi autori. Il disimpegno nel far memoria del passato è, a mio parere, il più grave, tra i disimpegni attuali, e il linguaggio che sa mostrare, che sa farsi evocazione, che sa restituire vita a corpi scheletriti, e alle polveri di un tessuto che una volta ricopriva un tavolo poverissimo, e alle macerie di una povera casa, offesa da un sussulto della terra, quello è il linguaggio che oggi può parlare alle nostre generazioni.

P.S. Torno a scrivere sul mio Blog dopo lunga necessitata assenza. Spero di farlo con maggior frequenza.

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