giovedì 26 giugno 2008

LA PIETRA

Renzo Bellanca ha chiesto ad alcuni autori italiani di affiancare dei racconti alle sue sculture. Ne è venuta fuori la mostra Doppio Linguaggio, che in questi giorni può esser visitata al Chiostro del Bramante, a Roma. Questo è il mio racconto.

Non c’è pietra grezza o lavorata nel mio villaggio che i Maestri non abbiano ordinato di custodire al chiuso o proteggere all’aperto, rilevandone con un raggio antimaterico l’irripetibile composizione e applicandovi un microscopico sensore a carica infinita.
I regolamenti, approvati dal Sinedrio, sono chiarissimi anche sui metalli, la proprietà dei quali spetta all’Ente Supremo: occorre denunciarne il possesso antecedente il Decreto Universale, e le leghe e gli impasti vanno autorizzati per periodi definiti, al termine dei quali, occorre restituirli agli Uffici del Ripristino.
I legni sono esposti nei Musei delle essenze viventi. Gli alberi sono stati sostituiti dagli Osmoti: apparecchiature anfibie di natura organica che si nutrono di anidride carbonica e producono ossigeno, all’aria aperta e nelle profondità marine.
Le antiche civiltà umane hanno dilapidato le ricchezze naturali.
Al termine della prima grande guerra dell’acqua, mille anni fa, i Maestri hanno deliberato la Restituzione alla terra del maltolto.
Io, Silvestre, inventore dell’inchiostro capace di cancellare ogni libro, dello specchio che mostra ciò che è alle nostre spalle, della macchina che conduce nel passato, ho ottenuto dal Sinedrio il possesso di questa pietra, sulla quale incido la nostra storia presente e rivolgo un monito ai nostri predecessori.
La tensione all’Assoluto in terra, diffusa dalla Letteratura e dalle Arti, ha condotto l’Umano al di là dei confini per esso stabiliti.
In questa Pietra, scrivo tutte le parole di tutti i libri e riproduco tutte le figure di ogni disegno, affinché siano esse riconosciute per tempo e poste al bando dalle generazioni che son venute a me e che da voi proverranno.
Ho cancellato i libri, ho guardato alle mie spalle, vi invio questa pietra con la mia macchina del tempo.
Fatene buon uso.

Questa pietra, Maestro, ho rinvenuto alcuni mesi fa nei pressi del Lago, e vi si specchiava con il suo messaggio, dal contenuto ancora per me oscuro. A prima vista, i caratteri parevano intelligibili, ma ad uno sguardo più attento, nulla di ciò che vi era inciso, era comprensibile. Mi apparve come un Codice, e ho pazientemente tentato di decifrarlo, senza però alcun apprezzabile risultato. Mi auguro che Voi, nella Vostra infinita saggezza, possiate penetrarne il mistero. A questo Convento, che mi ha accolto giovanissimo, offro pure un mio progetto, che è scaturito dall’osservazione di questo Codice. La stampa. L’incisione su pietra e su metalli mediante apposita fusione dei testi sacri e profani che ancora trascriviamo manualmente. La stampa ci consentirà di diffonderli su tutta la terra. Il vostro fratello amanuense Angelo.

NIENTE ZTL? NIENTE AUTO!

A Palermo il Tribunale Amministrativo boccia l'ordinanza comunale sull'istituzione delle Zone a Traffico Limitato, le famose Ztl, e al pasticciaccio brutto di un provvedimento costoso e inefficace, s'aggiunge il pasticcetto dei rimborsi a chi aveva già pagato per il permesso di circolazione.
Ma il mondo è cambiato, e non in meglio, e il diritto alla salute vale di più del diritto all'automobile, se l'automobile inquina.
Dunque, un appello. Niente Ztl. Un no alle auto, semplicemente, da via Libertà alla Stazione Centrale, con poche eccezioni. Per gli invalidi, quelli veri. E dei semplici corridoi d'attraversamento per i residenti.
Punto.
Il resto, verrà da sé.
Gli autobus andranno più veloci. E se si tratta di autobus vecchi ed inquinanti, pazienza: saranno sempre meno delle auto. E prima o poi funzioneranno i tram e quel po' di metropolitana che sarà possibile realizzare nel difficile sottosuolo di Palermo.
Di un paio di effetti collaterali, invece, si potrà subito disporre: l'aria buona sul viso di chi cammina o riscopre la bicicletta, e un incentivo gratuito per le case automobilistiche: sostituite il petrolio con l'idrogeno.
Per farlo, per pronunciare un secco no all'inquinamento, serve coraggio.
E la consapevolezza che il mondo è cambiato, e l'automobile non è più un diritto.

martedì 24 giugno 2008

LE SOLITUDINI DI PAOLO E GIOVANNI

Nella navata sinistra di San Francesco d’Assisi, ad una certa ora del giorno, la luce prende corpo, e stende i suoi raggi fra il tetto e il pavimento spoglio.
Non c’è modo di restare all’ombra, se non rimanendo perfettamente immobili.
Alle mie spalle, il portale era spalancato sul sole di quella mattina di giugno di sedici anni fa.
Il sacerdote diceva qualcosa, a proposito di quei morti che anch’io ero venuto a ricordare. Parlava quasi sottovoce. In suffragio di cinque anime.
Le scale, il portale spalancato, la luce. Ero appena entrato, e con un passo, mi ero spostato a sinistra, infrangendo un muriciattolo d’ombra e passando per quel reticolo di luce e polveri in sospensione.
Le cose andavano così oramai da secoli, a San Francesco.
Ombre e luci, disegnate dalle abili mani di architetti di imperscrutabile sapienza, costituivano il solo arredo celeste di una Basilica scarnificata, di pietra appena squadrata; vennero dopo, gli stucchi e i marmi.
Feci un passo, dunque, e mi spostai a sinistra.
Il caldo di quel giugno stretto tra due mesi di sangue, tra il Maggio di Capaci e il Luglio di via Mariano d’Amelio, era temperato dal soffio di vento misericordioso che giungeva dal fondo.
Superai la prima colonna, e avanzai ancora.
Solo il viso affiorava oltre la coltre di buio che avevo scelto per ripararmi.
Lui, fu scosso da un tremito. Era seduto alla mia destra, da solo, su una panca di legno, forse regalata da una famiglia di fedeli, come usa da noi, in ricordo di qualcuno, o a futura memoria. Le braccia appoggiate sulle gambe, le mani giunte, la testa un po’ incassata tra le spalle.
Si volse lentamente, come per una presa d’atto.
Il suo sguardo si poggiò su di me, ed io lo riconobbi solo un attimo dopo averlo incrociato; in quel momento esatto, compresi che non poteva esservi paura, in quegli occhi.
Lo salutai, con un piccolo movimento del capo, e forse, con le labbra, con gli occhi, riuscii a dirgli che un poco del suo dolore era anche il mio.
Quella mattina, accompagnavo alcuni giornalisti stranieri, venuti a Palermo dopo il tritolo di Capaci: come si andava a Beirut, a Saigon, a Kabul.
Quando tutto fu finito, quando il sacerdote ebbe impartito la benedizione, quando era oramai troppo tardi per un’intervista, quando lui era già andato via, dissi loro che in Chiesa avevo intravisto Paolo Borsellino.
Il vento spazzava la città. Almeno credo. Ricordo dei giorni caldi, afosi, rabbiosi. Le sere, invece, pareva che il fresco del mare aperto ripulisse le strade impolverate.
Rividi quel volto irrigidito, quei gesti secchi e rassegnati, solo pochi giorni dopo. Alla Biblioteca comunale.
Quella sera, il dibattito non sarebbe stato il solito dibattito. Non sarebbe stato uguale a nessun altro.
Paolo Borsellino volle parlare ai palermitani che s’erano dati appuntamento nell’atrio di quel convento sconsacrato nonostante qualcosa, visibilmente, glielo impedisse. Era come se avesse deciso di ribellarsi ad un ordine imperioso, all’ingiunzione del silenzio che, da qualche parte, qualcuno gli aveva rivolto.
Disse della solitudine che aveva accompagnato gli ultimi anni di Giovanni Falcone, e i suoi.
Disse del tradimento.
Disse di un Giuda.
La voce, nel racconto interminabile di ciò che, fino in fondo, non poteva esser detto, si arrochiva del fumo delle sigarette che andavano e venivano; e s’incrinava, per il dolore acutissimo.
Ero sicuro che la sua voce, quella sera, qualsiasi cosa fosse scaturita dalle sue parole, non si sarebbe spenta. Non potevo muovermi da quel gradino sul quale avevo trovato posto. Non lo avrei fatto per nulla al mondo.
La sua voce non incontrava ostacoli.
A noi, invece, la voce mancava.
Paolo Borsellino diede la sua versione dei fatti; nel suo racconto - quello di un sopravvissuto al potere reale, alle sue insidie, ai suoi trucchi, alle sue ipocrisie - disse che una ragione c’era, perché Giovanni finisse a quel modo i suoi giorni: un movente per il suo assassinio.
Credo lo chiamasse Falcone.
Falcone, e cioè Giovanni, era riuscito a penetrare i segreti di Cosa Nostra, le sue relazioni con la finanza, l’intelligenza tra poteri legali e poteri criminali. Il solo compagno di quel viaggio, era lui stesso, Borsellino. E cioè, Paolo.
Parlò, Borsellino, per un tempo che mi apparve interminabile. Nel silenzio impaurito di tutti noi. Nel silenzio complice di Palermo. Nel silenzio ebete di tutto il Paese su quel che davvero si era consumato a Capaci.
Mentre parlava, di tanto in tanto, osservavo i volti di chi ascoltava; diversi, tra loro: attenti, commossi, impietriti, preoccupati, silenziosi, rabbiosi.
Volti coscienti.
Volti incoscienti.
Se tutti quanti pagassero un piccolo tributo alla verità, mi dicevo; se tutti quanti, questa sera, aggiungessero un segno concreto di condivisione, forse, potremmo difendere quest’uomo.
Potremmo salvarlo.
A Palermo, avevano sparato in tanti su Borsellino, e su Falcone.
Ricordo odi e invidie, dentro e fuori il Palazzo di Giustizia, che fu per questo ribattezzato “Palazzo dei Veleni”.
Ricordo che, per mesi, per anni, circolarono degli anonimi, stilati da un Corvo: rimasto misterioso nonostante inchieste e processi.
Palermo, come Beirut, Saigon, Kabul, doveva formicolare di agenti segreti, in quegli anni, e questa consuetudine, fra Stato e Antistato, dovette proseguire, per molti anni ancora; le loro parole d’ordine dovevano per forza esser depistaggio, diffamazione, dissimulazione.
Ricordo che a Falcone alcuni rimproverarono la scelta di lavorare al fianco di Claudio Martelli, al Ministero di Grazia e Giustizia; ricordo che lo accusarono di voler dar vita, con la Superprocura nazionale antimafia, ad una struttura d’asservimento della magistratura al potere esecutivo.
Una delle parole che più erano di moda, in quel momento, era “normalizzazione”. Con la Superprocura, che lui stesso avrebbe guidato, Falcone avrebbe dato il suo contributo alla “normalizzazione”.
Ricordo che, dopo la morte di Falcone, qualcuno candidò Borsellino a guidarla lui, la Superprocura. Ricordo che Borsellino reagì rabbiosamente a quell’imprudente candidatura.
Ricordo Leonardo Sciascia, e la sua recensione di un libro di Christopher Duggan, “La Mafia durante il Fascismo”, e penso che una gran parte del suo ragionamento era giusto, e una parte piccola ma decisiva non lo era; e Leonardo Sciascia, sia chiaro, è per me un Maestro di etica, ragionamento e stile, difficilmente eguagliabile.
Ricordo che era difficile, per me, capire tutto quanto, per bene; districarmi in quel purgatorio di si dice, in quel roveto di allusioni, in quel cespuglio in fiamme di verità più verità di altre.
Ricordo la mia laurea, a luglio.
Pensavo di festeggiare la fine dei miei studi, il 19 di luglio.
Quel pomeriggio, il telefono squillò minaccioso. Un amico mi disse d’aver sentito un’esplosione. Lui abitava in via Marchese di Roccaforte. E il rumore, assordante, inequivocabile, proveniva dalla Fiera del Mediterraneo, da quella direzione.
Presi subito a telefonare. All’agenzia Ansa, dall’altra parte della città, non sapevano nulla. Fecero delle telefonate.
Pensammo tutti, immediatamente, ad un attentato, meno di due mesi dopo Capaci. Pensammo ad un altro magistrato. Non sapevamo che da quelle parti viveva la madre di Paolo Borsellino.
Non ci volle molto. Pochi minuti. E sapemmo quel che era accaduto.
Andammo, tutti quanti, con i ragazzi del movimento antimafia, in via Mariano d’Amelio, a respirare un poco del fumo nero della morte. E la sera, tutti quanti, andammo in piazza Pretoria.
Quella sera, per tutti noi, non c’era più Stato; non c’era più autorità.
Scalammo il Palazzo delle Aquile, approfittando di una finestra lasciata aperta, e occupammo la sala delle Lapidi.
Non ci cacciò nessuno.
Passammo giorni e notti, in piazza.
L’Italia s’era fermata.
Destra e sinistra, allora, importavano pochissimo. Concetti astratti, a Palermo.
Ricordo i funerali. La rabbia.
Poi, anche quella protesta, finì. Ci furono altre morti, e le bombe di Firenze, Milano e Roma. Ci furono gli arresti. Cosa nostra decise di consegnare Totò Riina, e di immergersi, per qualche anno, nelle acque scure delle latitanze e delle trattative occulte.
Non ho mai festeggiato la mia laurea. Il cibo finì nella spazzatura, e il vino, andò a male.
Per Palermo, cominciò tutto così. O meglio, ricominciò.
Prima, c’erano stati gli anni Sessanta, gli anni Settanta, gli anni Ottanta.
La cementificazione della Conca d’Oro, l’espansione mafiosa, la guerra dei clan, le prime indagini. I morti. La decapitazione dello Stato, l’incenerimento della società civile. Il pool. I poliziotti. Il maxi processo. I Vespri Siciliani, con le autoblindo, i soldati disarmati e i giubbotti di carta stagnola.
Quella lunghissima fase, si era chiusa con le autobomba esplose a Capaci e in via Mariano d’Amelio.
Ma si poteva non capire che quelle autobomba avrebbero aperto una fase nuova? Avrebbero potuto, almeno.
Ad ogni anniversario, mi ripassa tutto quanto per la mente, ripenso al fatto che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano rimasti soli, e che anche noi, tutti noi, li avevamo lasciati soli.
Non avevamo capito.
Non saprei dire il giorno esatto. Ricordo Paolo Borsellino ad una fiaccolata, una sera.
Sei anni dopo la sua morte, ho visitato la Terra Santa. I luoghi Santi, conosciuti attraverso le Letture. I luoghi dello studio, delle predicazioni, del martirio.
Era Natale. Tra israeliani e palestinesi covava una seconda drammatica Intifada. I militari distribuivano maschere antigas. Temendo una strage.
Vidi Betlemme, Nazareth. Gerusalemme. La città delle tre religioni, dei due popoli, del solo Dio.
Per giungere al Santo Sepolcro, occorre piegare la testa, e passare per una porticina, e discendere per una scala molto ripida, illuminata appena.
Sul tetto altissimo di Sant’Elena, nell’ombra profumata d’incenso, c’è un foro stellato, che si apre sul cielo.
Mi hanno raccontato, o forse ho letto, della cerimonia delle fiaccole, che si tiene nella Basilica, e del fuoco sacro che tutti si passano di mano in mano.
E ho compreso, il senso di quella fiaccola. Tutto quello che c’era da capire. Il ricordo del sacrificio, e il prender quel fuoco sulle proprie mani, tutti insieme. La memoria. E la promessa.

sabato 21 giugno 2008

LA CULTURA CHE PIACE ALL'IMPRESA

27 Giugno ore 19.00
Galleria d’Arte Moderna
P.zza Sant'Anna 21, Palermo

La cultura che piace all’impresa: storia, territorio e contemporaneità.

Saluti
Mario Milone, Assessore alla Cultura, Comune di Palermo

Introduce
Elisa Fulco, curatore Fondazione Borsalino

Intervengono
Antonella Purpura, Direttore Galleria d’Arte Moderna, Palermo
Roberto Gallo, Amministratore Delegato della Borsalino S.p.A. e della Fondazione Borsalino
Marco Montemaggi, Vice Presidente di Museimpresa
Vito Planeta, azienda vinicola Planeta
Francesca Appiani, curatrice del Museo Alessi

modera
Davide Camarrone, giornalista e scrittore.
Sabato 28 Giugno ore 21.00
Expa, via Alloro 97 - Rassegna sul cinema industriale d’animazione.

L’incontro è organizzato in occasione della mostra "Perdere la testa. Il cappello tra moda e follia", Collezione di arte outsider dell’Atelier di Pittura Adriano e Michele 31 Maggio / 6 Luglio Palab via Del Fondaco, Palermo tutti i giorni 18.00 / 24.00 ingresso libero / catalogo edizioni di passaggio

venerdì 20 giugno 2008

BARICCO E SAVIANO

Qualcuno di voi avrà, come me, letto della polemichina sull'editing profondo al quale sarebbero ritualmente sottoposti gli articoli di Roberto Saviano; e del giudizio di Alessandro Baricco su Gomorra: "Non mi è piaciuto".
Ora, che non si possa dir male di Saviano, mi sembra evidente, per il coraggio delle sue scelte; così come, mi sembra evidente che anche i libri di Saviano possano non piacere, a Baricco o ad altri.
Nessuno, credo, sarà rimasto sorpreso.
Non poteva che andare così. Lo scrittore più contenutistico, rasato e scamiciato, dispiace allo scrittore più formalistico, al fondatore della Scuola Holden, capelluto e button down.
E' l'eterno conflitto tra lo scrittore e il riscrittore. Tra la botte che invecchia e la barrique che affina. Tra un rosso giovane e robusto e un bianco in bollicine.
Questione di gusti.

IL POTERE E I CRETINI

Sostiene il filosofo francese Michel Onfray che la ricetta della Felicità consista anzitutto nel tenersi lontani dal Potere e dai Cretini. Pleonastico.

venerdì 13 giugno 2008

DOPPIO LINGUAGGIO

Doppio Linguaggio – Mostra-Evento di opere di Renzo Bellanca a cura di Juan Carlos García Alía, con i racconti inediti di Gaetano Savatteri, Roberto Cotroneo, Luigi Galluzzo, Fabrizio Falconi, Giosuè Calaciura, Davide Camarrone, Giacomo Cacciatore, Amara Lakhous, Paola Pastacaldi e Lia Bellanca.
Roma - Chiostro del Bramante - Sala delle Capriate - Dal 5 al 22 giugno.

Artista siciliano, residente a Roma da più di vent’anni, Renzo Bellanca mostra una tecnica personalissima, frutto di una elaborata ricerca artistica e di una profonda indagine sulla materia che è intesa non come puro mezzo di rappresentazione ma come metafora delle esperienze di vita vissuta nella quale, si deposita e si stratifica, il flusso inarrestabile di continue coesioni e di incessanti trasformazioni. Il titolo della mostra nasce da una nota incisione dell’artista che accosta il segno materico a quello linguistico e che ben sintetizza la natura dell’operazione: un dialogo tra due arti, la pittura e la letteratura, in un gioco di rimandi, di simboli, di allegorie, in cui la letteratura trae ispirazione dal testo pittorico che, a sua volta, diventa pregnante di nuovi significati e di originali suggestioni derivanti sia dalle evocazioni poetiche che da quelle letterarie.

Il progetto scaturisce dall’idea di Renzo Bellanca, Luigi Galluzzo e Gaetano Savatteri, amici di lunga data e conterranei, e dal desiderio di creare un evento che istituisse un forte ed unico filo conduttore tra le loro diverse e reciproche abilità artistiche. Si delinea, così, l’intenzione di scrivere un racconto inedito, ispirato ad un quadro dell’artista che troverà, nella Mostra-Evento Doppio Linguaggio, una prima ed immediata forma di comunicazione. La contaminazione di epoche e di linguaggi del passato e del presente, di culture e di segni è una prerogativa dell’opera di Bellanca con la quale gli scrittori citati provano affinità. Bellanca nelle sue opere scava nella memoria per capire l’origine e il divenire del nostro destino e per questo adopera alfabeti, numeri, segni, elementi, forme e colori che ci parlano del prima e del dopo che è in ognuno di noi. Arte e vita, storia ed esistenza viaggiano insieme nella sua elaborazione artistica.

La partecipazione si allarga ad altri scrittori, ognuno dei quali sceglie un’opera e, senza alcuna informazione o spiegazione in merito, vi si immerge per poi riemergere con la propria creazione letteraria. Dal Dialogo tra il mondo di Bellanca e quello degli scrittori citati, l’opera dell’artista si arricchisce , di rimando, di ulteriori significati letterari che amplificando l’idea iniziale la consegnano allo spettatore sotto una nuova prospettiva e una nuova chiave di “lettura”.

Catalogo Silvana Editoriale

MAFIA FILM

Una volta, entravi in libreria, scusandoti con il commesso, appena assunto, o scambiando uno sguardo d'intesa con il proprietario, e senza aggiungere altro, vagabondavi per tavoli e scaffali, osservando la mercanzia, sfogliandola, pesandola, osservandola dalla prima alla quarta di copertina. Con You Tube, è un po' più triste e veloce. Però. Di tanto in tanto, per intuito, o per caso, ti capita tra le dita il capolavoro. Editore sconosciuto, fattura poverissima. Autore, quello sì: te ne ricordi. Il nome. Ma sarà lui? Ugo Giuliani? Il tuo vecchio compagno di scuola? E' successo. Date uno sguardo a questo film scovato in rete. Mafia film, si chiama. Girato a Palermo. Geniale. Risposta ad un sacco di domande. Tranne una. Ma Ugo è proprio Ugo?

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GLI ATTI RELATIVI

Sostiene, il Procuratore della Repubblica a Palermo, Francesco Messineo, che presto a Palermo la raccolta dei rifiuti, o per dovuta precisione la mancata raccolta, ci precipiterà in una condizione simile a quella di Napoli. E al riguardo, in Procura è già stato "aperto" un fascicolo. Di atti relativi. Il che, letterariamente, ci riconduce ad altri "atti relativi", ad inchieste mai approdate a nulla, su suicidi propriamente detti, ed altrettanto inspiegabili. Se Palermo corre verso il suo, e per nulla vorremmo assistervi, non sarebbe il caso di arrestarlo, l'Angelo della Morte? Che, nel caso, si chiama imperizia, o incapacità organizzativa.
Le entità chiamate ATO, Ambiti Territoriali Ottimali, si sono rivelate delle macchine mangiasoldi. Andrebbero abolite per decreto, e sostituite con aziende a partecipazione pubblica.
Non siamo nella condizione di poter licenziare alcuno, purtroppo, e dunque, la cosiddetta privatizzazione, dalle nostre parti, è solo un modo per spendere di più, e per affidare ai privati le scelte che la politica non può legittimamente compiere: ad esempio, l'assunzione di cognati, figli e cugini di politici.
Non resteranno che "Atti relativi", altrimenti: dove il termine "relativi" mostrerà soltanto l'insufficienza degli atti medesimi.

martedì 3 giugno 2008

TERREMOTO RIFIUTI

In Campania c'è stato il terremoto rifiuti. E' ancora in corso, a dire il vero.
In Sicilia, in vitro, stiamo forse assistendo allo stesso fenomeno.
Le avvisaglie, le prime scosse, sono di questi mesi, e di questi giorni.
La chiusura temporanea di Bellolampo, da parte di un pm, per fatti amministrativi (anch'essi rivelatori: ritardi, proroghe) e l'annuncio della prossima chiusura definitiva, comunque, per via dell'inevitabile riempimento dell'ultima vasca disponibile.
I rifiuti accumulati sulle strade di Messina, per via di un vortice di stipendi non pagati, scioperi, cassonetti bruciati e inchieste della magistratura.
I rifiuti di Enna, anche qui, per via di stipendi non pagati et cetera. Qui, però, ad Enna, mancano i soldi. Le tasse sui rifiuti le pagano solo 3 cittadini su 10. Troppo care, visto che, con il nuovo tariffario, sono aumentate del 300 per cento.
Tornando a Palermo, ci sarebbe da dire dell'Amia, dei lavoratori che si apprestano ad uno sciopero dello straordinario, e in provincia, del Coinres, già al centro di uno scandalo per un'infornata di assunzioni, delle proteste dei lavoratori vecchi e nuovi.
Insomma, il sistema sta esplodendo.
Brutto affare.
Di chi è la colpa?
Qualcuno dice che sia degli Ato Rifiuti. Inefficienti e costosi? Tocca alla Regione accertarlo. E in fretta. E già che ci siamo, Palazzo d'Orleans potrebbe dare uno sguardo anche agli Ato Idrici.