venerdì 29 gennaio 2010

L'IMPORTANZA DEL MALE

A proposito di un certo giornalismo, e di una certa televisione.
Un luogo comune recita: dev'esserci del marcio, se la perversione eccita gli animi, ed è morboso quest'interesse della gente alla cronaca nera, alla violenza.
Io penso che le cose non stiano così. Non esattamente.
Il punto, a mio parere, è come se ne scrive.
Un secolo fa, a farlo, era André Gide. Prendete ad esempio i "Ricordi della Corte d'Assise", ripubblicati da Sellerio. Raccontano delle crudeltà di provincia, in Francia: gesti efferati, e in apparenza incomprensibili.
Sempre nel Novecento, Truman Capote volle farsi cronista delle ragioni che potevano avere indotto due ragazzi del profondo Sud americano a compiere una strage, e i pochi giorni che intendeva dedicare ad un reportage, lievitarono fino a sei anni, per un romanzo, "A Sangue freddo", che divenne il suo capolavoro.
E poi, anche se non proprio di cronaca nera si trattava, c'è il caso di Hannah Arendt. Filosofa, storica. Seguì il processo ad Adolf Eichmann, a Gerusalemme. A giudizio, non vide un ministro di Hitler, e nemmeno un criminale, bensì un omuncolo, obbediente agli ordini di un pazzo. Hannah Arendt ne trasse la "Banalità del Male".
E poi, per farsi un'idea della differenza tra il passato ed il presente, occorrerebbe pure rileggere le cronache e le interviste di Enzo Biagi, di Oriana Fallaci, dei grandi giornalisti che seppero raccontare l'Italia del dopoguerra.
La conoscenza del Male è indispensabile, quasi quanto la conoscenza del Bene. L'interesse è legittimo. Il punto, ripeto, è come se ne scrive. E non ci sono più, fatte salve delle rare eccezioni, i cronisti di un tempo: straordinari, o perché occasionalmente dediti alla cronaca e pronti a liberarsi d'ogni pregiudizio, o perché capaci di penetrare a fondo nell'animo umano.

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