giovedì 28 giugno 2012

PIO LA TORRE E GLI ALTRI

Qual è il nesso tra molti delitti politico mafiosi siciliani? Ad esser colpiti, son stati degli uomini che avevano “capito”, e che avrebbero potuto scardinare il “Sistema” di alleanze tra la mafia ed altri poteri abituati ad agire nell’ombra a difesa di colossali interessi: economici e geopolitici. Pio La Torre fu ucciso, insieme alla sua guardia del corpo, Rosario Di Salvo, il 30 aprile dell’82: crivellato di colpi da un commando mafioso: oramai, questa è verità giudiziaria, così come il fatto che fu la Cupola ad ordinare quell’omicidio. Ma la domanda, ovvia, è se la mafia abbia agito da sola o per conto terzi (e se, meno ovviamente, questa sua caratteristica, l’agire per conto terzi, non sia la condizione essenziale del suo agire). La Torre aveva conosciuto la mafia: veniva da una borgata di Palermo; giovanissimo aveva aderito al Pci, organizzando i braccianti per occupare le terre incolte, e attirandosi le minacce, non troppo velate, del capomafia della zona (il papà di quel Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia in Italia, che molti anni dopo avrebbe raccontato Cosa Nostra dal di dentro); era stato in Commissione Antimafia per tre legislature, insieme a Cesare Terranova, ucciso nel ’79, ed aveva scritto una proposta di legge per colpire al cuore Cosa Nostra, introducendo il reato di associazione di stampo mafioso e, sempre sul modello americano, consentendo l’aggressione ai capitali mafiosi. Ma, fate attenzione, La Torre era stato anche quell’alto dirigente comunista che, in una fase cruciale della storia siciliana, aveva scelto di lasciare gli incarichi nazionali di partito e di tornare nella sua Isola, da segretario regionale del Pci. Nel 1981, aveva dato il via alla costruzione del più esteso movimento pacifista d’Europa: schierato, unitariamente con cattolici e ambientalisti, contro l’installazione dei missili Cruise a Comiso. Contro la morte nucleare, La Torre aveva portato in piazza centinaia di migliaia di persone: costituiva, per gli Stati Uniti, un pericolo reale, immediato. Raccontò, per questo, d’esser pedinato da uomini dei servizi segreti. Intuì, attraverso la lettura di documenti riservati, e con l’aiuto di alcuni esperti consultati in segreto, la presenza in Sicilia di una rete segretissima legata alla Nato. E si trattava, naturalmente, di Gladio (o Stay Behind). Cosa unisce, quindi, tanti omicidi e tante stragi: di giornalisti, politici, magistrati? La risposta è semplice (pure se non dimostra che quel nesso sia la causa della loro morte). Il colore nero. Il nero delle alleanze oscure: con servizi segreti italiani e stranieri. Il nero dei neofascisti. Il nero dell’eversione armata. A capire, erano stati per primi i giornalisti, sin dal ’70. Mauro De Mauro e Giovanni Spampinato s’erano imbattuti, in modi diversi, in quel colore nero (De Mauro in Junio Valerio Borghese e nel Golpe che preparava; Spampinato nei neofascisti che allora affollavano Ragusa: Delle Chiaie, fra gli altri), così come Peppino Impastato e Mauro Rostagno: Impastato aveva messo il naso nella strage di Alcamo del ’76 (dove il nero abbonda e ricopre ogni cosa, persino la verità giudiziaria), e Rostagno s’era spinto oltre, fino ai traffici d’armi con la Somalia. Poi, capirono i magistrati. Pietro Scaglione, procuratore della Repubblica, indagava sulla morte di De Mauro. Venne ucciso nel ’71, e subito scattò una campagna di diffamazione che impedì per decenni di far luce sulla sua morte. Vittorio Occorsio fu ucciso a Genova da un neofascista palermitano, Pierluigi Concutelli, killer a conoscenza dei segreti dell’alleanza nero mafiosa siciliana. Gaetano Costa fu il testardo indagatore dei misfatti di Rosario Spatola, legato all’”americano” Michele Sindona. Giangiacomo Ciaccio Montalto e Carlo Palermo finirono nel mirino per aver scoperchiato, a Trapani, il calderone dei traffici d’armi e droga: Palermo si salvò ma lasciò la magistratura. Rocco Chinnici, nel suo diario segreto, scrisse dell’omicidio Mattarella, di De Mauro e della presenza di Sindona in Sicilia: dinamite. E poi, le stragi del ’92, per eliminare Falcone e Borsellino e sovvertire la storia d’Italia: storia che è ancora da scrivere. Ma in via D’Amelio le ombre, il nero, s’infittiscono. E infine, i politici. Michele Reina venne ucciso all’indomani di un accordo tra la sua Dc e il Pci (quasi esattamente un anno dopo il rapimento a scopo di omicidio di Aldo Moro: autore, dunque, dello stesso imperdonabile “errore” politico; e la sua morte, con un primo depistaggio, venne imputata alle Brigate Rosse). Piersanti Mattarella, il 6 gennaio del 1980, infranse, per la terza volta, quella regola vigente dal dopoguerra: mai il Pci nel governo; e la moglie di Mattarella riconobbe nell’assassino il volto di un terrorista nero, quello di Giusva Fioravanti, ma non venne creduta. Poi, La Torre. E infine, l’ex sindaco Dc Giuseppe Insalaco (che alcune inchieste ipotizzarono vicino ai servizi segreti e a Gladio). Questa è solo una parte della storia: bisognerebbe raccontare della morte di poliziotti, carabinieri; del Generale dalla Chiesa. Tout se tient, come si dice. Ci sarebbe molto da rileggere: ad esempio, il rapporto di quel vice questore siciliano, Giuseppe Peri, su mafia, neofascismo, sequestri e attentati. I libri sono importanti. Dicono quasi tutto. Leggete i due volumi su La Torre di Sorrentino e Mondani, per Castelvecchi, e di Vasile e Lo Monaco, per Flaccovio. Poi, provate a mettere insieme le tessere del mosaico. Ne vien fuori la Sicilia nel ventesimo secolo. E forse, l’Italia.

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