giovedì 19 luglio 2007

LA SOLITUDINE DI BORSELLINO


Oggi ricordiamo Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.
Borsellino sapeva che la sua sorte era segnata. Glielo diceva la logica, e glielo dicevano le informative dei Ros sul tritolo già consegnato ai suoi assassini, i tanti segnali colti in incontri ufficiali o riservati, e infine, l'assenza di concreti provvedimenti a sua tutela.
Era consapevole d'esser rimasto solo, Paolo Borsellino: contro Cosa nostra e i suoi complici.
In quel dibattito alla Biblioteca Comunale, promosso da Micromega (era forse il 27 giugno, tre settimane prima del suo appuntamento con la morte), pronunciò parole insolitamente dure, su quel che aveva preceduto e accompagnato la morte di Giovanni Falcone.
Credo anch'io che le cause degli eventi che si scatenarono in quel terribile periodo, iniziato nel '92 con la morte di Salvo Lima e conclusosi nel '93 con gli attentati di Firenze, Milano e Roma, siano da addebitarsi ad un complesso ragionamento, che per consuetudine sociologica si potrebbe dire "politico".
Furono assunte delle decisioni, probabilmente, in Sicilia e altrove (principalmente altrove). E queste decisioni, a cascata, ne determinarono delle altre.
Non credo alle teorie dette del "Grande Vecchio". Mi pare probabile, piuttosto, che si sia giocata una sorta di partita a scacchi, con più attori, molti dei quali hanno fatto presto a metter da parte ogni scrupolo.
Se lo hanno fatto, o erano stretti in una falange sin troppo compatta, o intravvedevano dei vantaggi, da quel cedimento.
E poiché nessuno ammetterà d'aver partecipato a quella sfida, ritengo che difficilmente si giungerà alla verità.
Alcuni tra i protagonisti, assolutamente insospettabili, potrebbero essere ancora in giro, a godersi i frutti di quella stagione, e a vegliare sul silenzio.

Nessun commento: