domenica 20 aprile 2008

INTELLETTUALI E POLITICA

Nel suo editoriale di oggi, Paolo Mieli analizza con proprietà e concretezza le cause della vittoria dell'alleanza tra Pdl e autonomisti, della sconfitta dell'alleanza tra Pd e Italia dei Valori, dell'esclusione dal Parlamento dei partiti della Sinistra Arcobaleno.
Nelle pagine interne, alle quali è rinviata la seconda parte del suo editoriale, Mieli scrive: "I limiti per Veltroni sono stati tre: quello di non avere una solida base culturale di riferimento (alla sinistra manca un Tremonti, cioè un politico di primo piano che produca analisi innovative in sintonia con quello che si dibatte nel resto del Pianeta); quello di aver prodotto un eccesso di ammiccamenti a culture ed esperienze internazionali di complesso amalgama; quello ormai consolidato (nel senso che lo ha ereditato dai suoi predecessori) di non aver capito che il Nord merita un'attenzione strutturalmente diversa".
Qualche considerazione, al riguardo.
L'editoriale di Mieli, anzitutto, è un editoriale politico. Nel senso che ha un'intenzione sommamente politica, e non punta, non solo, ad una mera analisi dei fatti secondo le categorie del Politico.
Il direttore del Corriere vuol spingere il PD ad una presa d'atto delle mutate condizioni del nostro Paese. Dal punto di vista economico e sociale.
Mieli, però, trasferisce dalla prima pagina alla trentesima (nella parte interna dell'editoriale) la riflessione che dovrebbe apparire centrale, nel suo quasi del tutto condivisibile ragionamento.
Il PD - sostiene Mieli, che è giornalista e storico di vaglia - non ha una solida base culturale di riferimento.
Il PD, tuttavia, è l'erede di almeno tre tradizioni politiche e culturali.
Quella comunista. Quella democristiana. Quella laica progressista (almeno in parte).
La prima di esse ha di fatto dominato la Cultura italiana per oltre mezzo secolo, dopo la seconda guerra mondiale, avendo di fatto rappresentato la prima delle opposizioni al Fascismo, durante il ventennio che precedette il conflitto.
Al di fuori di quell'Universo, un intellettuale non poteva dirsi tale: per la sua distanza dalle masse, per la sua non adesione allo schema gramsciano. Le conseguenze di questo stato di cose potevano esser misurate nell'insegnamento, nel giornalismo, nella letteratura, nelle arti.
Potremmo dire anche del contributo del cattolicesimo politico al nostro Paese, e di quello di parte laica.
Quasi a metà degli anni Novanta, l'avvento di un'alleanza autodefinitasi di Centro Destra violò due tabù.
Destra era parola impronunciabile: nell'accezione italiana, era sinonimo di Fascismo, Golpe, Repressione, Arretratezza.
Con il Centro Destra, si schierarono numerosi "intellettuali": Colletti, Ferrara, Melograni, Urbani (solo per citarne alcuni, tra i più celebri).
Oggi, rispetto ad allora, la situazione sembra affatto rovesciata.
Ed è da questo punto che bisogna ripartire: dalla centralità della questione culturale. La sinistra non ha più intellettuali in grado di decodificare la realtà e indicare punti d'approdo, nuovi territori. E ciò non vale solo con riferimento all'interpretazione dei segnali del popolo delle partite iva del Nord.
Non è un Tradimento dei Chierici.
E' il mondo che sta cambiando. Il mondo intero.
Siamo certi che nel Centro Destra non se ne siano accorti?

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