mercoledì 16 maggio 2007

CRONACA O NARRAZIONE


Può il romanzo diventare il ricettacolo delle peggiori nefandezze che la cronaca ci rassegna ogni mattina? Della cronaca taciuta, anzitutto: di quei fatti che per ovvie ragioni di marketing editoriale sfuggono alle macchine inchiostratrici e alle antenne radiotelevisive. Scandali. Misteri. Sofisticazioni. Furti. Omicidi. Stragi. Penso ad alcuni libri di alcuni autori che non cito, nemmeno sotto tortura. Eppure, di cronaca scrissero autori straordinari (e farei meglio a dire che dalla cronaca partirono). Un nome? Gide. O scrivono tutt'ora. Un nome? Ellroy. Ma c'è qualcosa che in Italia non riesce, alla suggestione di cronaca, se non in rarissimi casi: la funzione di lievitazione della narrazione. La cronaca non è sacra. Va contaminata. Manipolata. Tradita per restituirne un contesto più ampio, e autentico. Interpretabile. Ecco. Tra la parola scritta e l'orizzonte che essa disegna, il lettore deve muoversi liberamente. Interpretare.

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