domenica 20 maggio 2007

NEC TECUM NEC SINE TE, GUIDOLIN


Al campo “Tenente Onorato”, di Boccadifalco, ai piedi delle colline che sovrastano Palermo, ci sono ancora i cartelli “Zona Militare, Vietato avvicinarsi”.
Lì dove non c’era l’erba, ora c’è, e presto ci sarà anche una palestra: avveniristica, attrezzata con le più moderne tecnologie.
La nevrosi organizzativa del Presidente Zamparini, che d’impresa ne mastica e pure d’uomini e cose, ha fatto sì che gli uomini dell’antica società del Palermo Calcio abbiano finalmente una loro cittadella dello Sport (en attendant il nuovo Stadio).
Francesco Guidolin, allenatore roccioso (per tempra e massa magra: “Roccia”, come Tarcisio Burgnich), e uomo di medioevo colto (e perciò a Palermo in un ventre di vacca), sostiene d’averne fatta di strada, con questo Presidente - il Nostro, dice - e il Direttore Sportivo, Foschi, che in campo si sbraccia, pure lui, fino allo sfinimento, ed è il regista delle trattative di Calcio-mercato (e qua, s’apre e si chiude la parentesi del miracolo d’impresa che è la società: acquisti nelle serie minori, lievitazioni atletiche e vendite al rialzo).
Come ogni cosa che a Palermo vale una passione, la squadra si deve alla follia: quella dei fondatori, in una Palermo che s’era scoperta anglofila, nonostante il Liberty, e quella dei prosecutori, tra Decò e champagne. Alla pazzia della guerra, seguì la sconsideratezza della ripresa, a lungo vagabonda tra i conci impoveriti dai crolli e la polvere che velava gli sventramenti dei B 52; sicché, non pesarono troppo, nella generale rassegnazione, le lacrime della retrocessione e dello scippo della Coppa Italia (lacrime che bagnarono anzitutto il viso di un Lord Presidente, Renzo Barbera).
La storia, idealisticamente, si conduce secondo un fine. Ci furono dei personaggi, e qui s’arriva al punto, che inconsapevolmente condussero i giocatori in campo e li sostennero negli spogliatoi e nelle partitelle, con il solo obiettivo di preparare l’avvento del Mister di Castelfranco Veneto, Francesco Guidolin.
Furono Pan e Dionisos a stendere l’elenco degli allenatori, pregustando l’ebbrezza dei sacrifici: Di Bella e De Grandi, “Umani, Troppo Umani”; Viciani, un “Sacchi dei poveri”, raccontano in un libro Roberto Gueli e Paolo Vannini, giornalisti e storici del Palermo; Rumignani, capace d’inventarsi un compleanno, per tener su il morale della squadra; Arcoleo, dissipatore delle proprie fortune, e il sessantottardo Morgia, che ai giornalisti disse: “Parliamo di Belgrado, e dei bombardamenti: non ho dormito stanotte, e non ho voglia di parlar di calcio”.
Fu però con due portatori tibetani, Sonzogni e Baldini, che si giunse a Guidolin.
Il Mister parla di sé come di un giocatore senza troppo successo, che le palle le ha tirate fuori davvero nella seconda vita, quella d’allenatore: nell’ascoltarlo, si vorrebbe esser certi che abbia compreso – lui, nel cuore protetto da uno sterno d’acciaio, e nel capo eretto, e ostinato - che non vi è un prima e un dopo, e che il Tempo ha i suoi diritti su di noi.
Fu a dieci anni, infatti, che il Tempo decise di soverchiarlo. Era il 1965, ed era trascorso poco tempo dalla guerra, e i genitori c’erano passati, dalla fame e dal poco che l’immaginazione fa divenire abbastanza. Erano i tempi dello Sport narrato dalle voci di Nicolò Carosio e di Adriano De Zan, del Calcio e del Ciclismo. E Francesco Guidolin li scelse entrambi, in attesa che loro si mettessero d’accordo, per prenderselo tutt’intero. Avrebbe potuto seguire il mestiere del padre, un piccolo commerciante, ma – sostiene Guidolin – non sarebbe stato bravo nel contatto con la gente: ed è una sorta di Gouldismo attenuato (racconta Michel Schneider che Glenn Gould teorizzava il bisogno di “x” ore di solitudine, per ogni ora trascorsa in compagnia).
A diciott’anni, stava per lasciare Castelfranco Veneto per Verona, e la sua fortuna fu la famiglia, e un padre appassionato di Calcio. In campo non fece una bella carriera, dice, ma da allenatore si sta rifacendo. Ha tanta gavetta alle spalle, che viaggia con lui, e ancora tanta voglia di percorrere strade nuove.
Sogno e doppio sogno. Il Calcio e la Bici. E’ nella fatica della pedalata, quando la china si fa più dura, le cosce si allattano, si fanno di legno, e il sudore impregna la maglietta e scorre dal sellino all’acciaio, che i pensieri se ne vanno. Il suo cervello non smette mai di lavorare. Pensa, Guidolin, alla sua squadra, e non ci sono schemi, in quei pensieri, non ci sono astrazioni geometriche, ma i talenti di ventidue uomini, e pure dei ragazzi della Primavera, che egli compone e ricompone come un regista di teatro alle prese con una scuola e degli allievi, e prepara, nel pensiero, le parole giuste, gli incoraggiamenti, per tirar fuori da ciascuno l’estro di un tiro aereo, di uno stop e di una giravolta, la velocità di un arretramento, la fulmineità di un contropiede, l’intuizione di un affondo; e i portieri, poi: Agliardi e Fontana che doveva far da chioccia al primo e a quasi quarant’anni si scopre morbidissimo Judoka, a volare sul prato come su un tappeto rituale.
Pensa al Campionato, alla Coppa Uefa e alla Coppa Italia: tre squadre differenti, in difesa e al centrocampo; attingendo all’intera compagnia, senza prime né repliche, in una corale esibizione di attitudini.
Guidolin spinge sui pedali e s’annulla nella fatica, in quella sorta di Meditazione che a cinquantun anni è oramai disciplina, ed è nel sollevarsi da terra che s’accorge di quel che gli sta intorno: gira per le colline e le valli della Sicilia, la Montagna e il Mare, racconta (“Ho fame di Mediterraneo”), e non cita neanche una città: ha occhi solo per le meraviglie dei luoghi che l’uomo non ha cambiato.
Da qualche parte, poi, intravede le tracce delle cavalcate del suo amatissimo Federico Secondo, Stupor Mundi, l’Imperatore assoluto, crudele coi baroni ribelli e illuminato dai versi della Scuola Siciliana, dalle Costituzioni di Melfi, dalla riconoscenza dei tre popoli – cristiano, ebreo e musulmano - che a Palermo e altrove s’intrecciavano in comunità.
Lo conosceva prima e lo conosce meglio adesso. Sotto il Regno di Federico, dice, Palermo era la città più rigogliosa d’Italia, da lasciare a bocca aperta.
Ora Palermo è pericolosa, in bicicletta, e pare che intenda: “a cavallo”.
Seduto sulle gradinate del “Tenente Onorato”, le mani nervose, e le ginocchia nude e accostate, Guidolin racconta dei suoi sfarzosi isolamenti mentre lo sguardo va al prato ben rasato, e deserto, i giocatori in attesa negli spogliatoi.
Regista o Condottiero? Ci pensa e non risponde. O quasi. Si limita ad alludere. Regista. Poi, due o tre fughe linguistiche (lapsus, li chiamava l’austriaco), echi medievali, di campi e tende, e fuochi.
Al ritratto di Federico oggi si sovrappone quello di Gigi Riva. Era il suo mito, racconta, i muri della sua stanza da ragazzo erano ricoperti di ritagli e fotografie del gran gentiluomo del Calcio italiano.
Spero di assomigliargli, dice.
Vorrebbe che il Calcio tornasse ad essere quel che era. A tutti quelli che oggi l’applaudono – nel singolare paradosso della smisuratezza fra nascondimento e immagine pubblica, comune ad altri orsi: fra gli altri, a caso, Gould e Benedetti Michelangeli – vorrebbe raccomandare di fidarsi delle persone serie: individuatele, dice, attraverso la tv (ed è in fondo un invito a nutrirsi di pane e filosofia: usate il cervello, sottintende).
Qui vien da ricordargli le sue dichiarazioni, in tv: vince, talvolta trionfa, la sua multiforme squadra, e lui dice che bisogna volar basso, accontentarsi, puntare ad un buon piazzamento, sì, ma lo Scudetto è un’altra cosa, non bisogna puntare così in alto, e certo non così presto; i suoi ragazzi falliscono un assedio, una battaglia, e lui insiste che va bene così, che gli avversari meritavano.
Il club ha fatto dei passi da gigante. Dev’esserci un metodo, vien da pensare, una ricetta, un’alchimia.
Nulla di tutto questo. Giochiamo con più sistemi, dice Guidolin. I ragazzi bisogna allenarli. E’ necessario coinvolgere quante più persone è possibile. Il gruppo – proprio così: il gruppo, senza o in antitesi al leader - deve sentirsi protagonista, responsabile. La cosa più importante è far da guida con il proprio comportamento. Ci vogliono democrazia e convincimento.
Patti chiari, servono, e allora, sin dal principio, s’era detto: niente sconfinamenti nella sua vita privata, Mister. Ma a casa, ci torna ogni tanto?
Palpebre che si chiudono, come per una messa a fuoco, e scuotimento sulle punte dei piedi, sempre seduto su una gradinata tiepida, scaldata dall’ultimo sole di novembre.
A casa torna poco, dice, ha poco tempo. L’anno sportivo per Guidolin è stressante. Da un punto di vista fisico, precisa. Vorrebbe esser “protagonista” del suo tempo. E’ per questo che viaggia pochissimo. Niente aeroplani, se non strettamente necessari. Può accadere che un volo sia cancellato, che una coincidenza ritardi, che uno sciopero improvviso mandi i tuoi piani all’aria.
Torna a casa idealmente, allora: ai suoi libri, e al suo cinema. Adora François Truffaut, e chi ama i Quattrocento Colpi e Gli Anni in tasca, sa cos’è la poltrona, e il buio, e lo smarrimento nel lenzuolo che si colora di vite altrui. Nel suo Olimpo, c’è anche James Ivory, e qui, lo scavo si fa impervio, e le pareti, appuntate a fatica, rischiano di crollare. Si può essere doppi anche in questo, divisi tra due poeti così lontani, tra Antoine Doinel e Anthony Hopkins? Poi, si pensa alla mano di Ivory, agli interni, all’accuratezza delle ricostruzioni, delle recitazioni, al sentimento, alla nostalgia, alla timidezza, e tutto torna, tout se tient.
C’è una cosa che vuol svelare, Guidolin, che non ha mai detto.
Quando la curva lo chiama, Guidolin-Guidolin-Guidolin, mezz’ora prima della partita, si sente in imbarazzo con i suoi giocatori. I protagonisti sono loro. Ma la felicità, in quel momento, lo attraversa come una scossa elettrica. Gli dà la forza, probabilmente, di saltare, ad ogni gol, o ad ogni contrattempo, in quel modo curioso, che gli fa assumere le fattezze di un uccello di terra, impaurito.
Quando il Fato decise d’insinuarsi tra lui e il Presidente, e il Mister lasciò Palermo per un anno con l’elegantissima squadra del Principato di Monaco, quella curva scrisse su uno striscione: “Torna Guidolin”.
Guidolin è tornato.

Così avevo scritto a novembre. Oggi, dopo Palermo Siena (e il 2 a 1 da Uefa è solo un dettaglio), va nuovamente bene.

Nessun commento: