domenica 20 maggio 2007

TI RICORDI DI UWE?


E’ il ventuno di novembre.
Fa freddo, se a Palermo il freddo autunnale può dirsi freddo.
Alle sette e mezza del mattino, le balàte della Vucciria sono fresche di rugiada, e sulla sua lingua di pietra, il Genio di Palermo sente ancora quell’acqua che - un tempo si diceva - mai sarebbe mancata, al Mercato, colando a rivoli dalle bancate, lustre di pesci vivi e d’alghe e di blocchi di ghiaccio.
Gharraf in arabo significa colma d’acqua, ma la Piazza del Garraffello è asciutta, oramai, cuore immobile e necrotico della Vucciria.
La Principessa Costanza ha tra le mani un involto candido, confezionato con cura. Un caffè amaro, in una tazzina di plastica col tappo in cima.
Uwe l’aspetta nella sua alcova in cima a Palazzo Rammacca (che fu banca pisana, la prima a Palermo).
Costanza scende le ripide scale dell’insulto, che dalla Via Roma – mutilazione ottocentesca inflitta alla Vucciria medioevale - conducono al Mercato.
Un soffio tiepido e marcio, come risalente dal profondo di un intestino tormentato, esala dai torsi di broccoli, dalle lische di sarde e dalle ginocchia di bue con i quali i mosconi banchettano in un angolo.
Osserva, Costanza, l’antica bottega del panettiere, il venditore d’olive bianche e nere, secche o saporite, e le prime bancate, in fondo allo stretto corridoio che introduce alla Piazza, o forse le ultime.
Un frastuono improvviso la paralizza.
Camion, autogru, autocompattatori.
Irrompono nella piazza.
Uno, due, tre, quattro.
Ne discendono decine di uomini, in divise diverse. Vigili urbani e vigili del fuoco in nero blu rosso giallo, spazzini in arancione a bande riflettenti.
L’uomo al Comando dispone strategicamente le truppe, e dà loro le disposizioni che attendevano per dar l’attacco alla Cattedrale.
Alla Cattedrale di Uwe.
Fermatevi, dice Costanza.
Fermatevi, dice Uwe.
Fermatevi, dice la gente della Vucciria.
Salvano solo un cartello, i demolitori: una Santa Rosalia pop che esclama in un fumetto “Tu sei Uwe”. Calano piano piano, per devozione alla Santuzza, quella sorta d’annuncio, d’epifania: fino a terra, al centro dell’Ufficio, anch’esso in via di smantellamento, a quella tana fra le torri di pneumatici dalla quale, come roditori, Costanza e Uwe hanno osservato per mesi il nutrimento della piazza, il conferimento dei rifiuti al Genio, individuando le loro prede.
Costanza avverte subito i tour operators che a Palermo portano ogni anno migliaia di fotocamere digitali appese al collo di appassionati americani, francesi, svizzeri e tedeschi. Sbarcano all’aeroporto Falcone e Borsellino, e salgono sui pullman: prima e ultima fermata, al Garraffello, al “Museo della Cattedrale”. “Non c’è più”, dice Costanza. Per correttezza.
Fino a poco prima, nel ristretto e invalicabile perimetro del Garraffello, dinanzi alla Loggia dei Catalani, che prima fu dei Genovesi e che s’oppone al Palazzo Mazzarino (dove nacque il Cardinale); in quelle diciannove stanze oscenamente esposte allo sguardo dei passanti sin dallo stupro dei B52, nel Quarantatre; in quei ventri vecchi e ossuti, erano in mostra le viscere della Vucciria: la munnizza, strappata ai cassonetti e alle balàte, e mutata in stucchi e marmi e gessi: travi cessi pneumatici cassette televisori fiori finti vasi sedie carburatori lampadari flipper tavoli.
Ci si poteva anche fermare e indicare: “A bicicletta ru zù Pinu”, “A seggia ra nonna”, “U vespinu ru papà”. Era di tutti e di nessuno, quella Cattedrale, per la quale erano occorsi centrotrentaquattro giorni di caccia e sventramento, dal ventisette maggio al sette ottobre di quest’anno; dieci ore di lavoro al giorno, senza pausa: dal primo sguardo mattiniero al terreno di caccia, su dall’alcova del Rammacca, alla raccolta e all’arrampicata sulla fragile impalcatura michelangiolesca in cima alle navate, per dar forma e colore all’affresco sanguinolento, di viscere appunto.
Uwe Jantsch ha trentasei anni. E’ tedesco, di padre, berlinese, e austriaco di madre. E’ nato a Bregenz, in riva al Lago di Costanza. A Palermo, dove vive dal Novantanove, ha incontrato Costanza, dei Principi Lanza di Scalea. Si fa presto a mettere insieme i frammenti – con il tedesco che a Palermo s’innamora di una Costanza - e a ricordare lo Svevo, Federico Secondo, che di Costanza d’Altavilla era il figlio e di Costanza d’Aragona il marito.
Uwe è l’Anti-Christo.
Se Christo, il Bulgaro, con Jeanne Claude, impacchetta i palazzi, li fa bianchi e squadrati, Uwe li squarcia, ne estrae amorevolmente le interiora, le budella ancora calde, palpitanti (ton sur ton con le frattaglie e le raschiature in vendita da queste parti, delle quali i palermitani sono ghiotti).
Christo ha impacchettato anche la Casa Madre della Multinazionale Wurth, Amministrazione e Museo, nei pressi di Stoccarda, e dunque nell’antica Svevia.
E giusto perché il filo non si spezzi, in questa storia (filo rossarancio, sanguinello, color concadoro), va detto che il settantino o quasi Reinhold Wurth, vivendo a Schwabisch Hall, con Palermo ha in comune l’Imperatore, l’Hohenstaufen, e le briciole rimaste del suo Regno: i Castelli, e la Cappella Reale.
A Palermo, Wurth era venuto a rendere omaggio alle tombe di Federico e Costanza, in Cattedrale, e un giorno - poco dopo un terremoto, uno di quelli piccoli che non scuotono le mura ma ne sbriciolano l’anima e le malte - decise di pagar di tasca sua il restauro della Cappella Palatina, sigillata dagli spagnoli nel porticato al piano nobile del Palazzo dei Normanni, e dei suoi mosaici, d’oro e lapislazzuli, raffiguranti Apostoli e Santi, insieme al Cristo Pantocrator (in atteggiamento benedicente).
Dinanzi alla Cattedrale di Uwe, dinanzi alla sua Croce, incombente sulla piazza del Garraffello, i vecchi della Vucciria si segnarono la notte in cui il Palermo fu promosso in Serie A.
Una Cattedrale di rifiuti in luogo delle sette Chiese della Vucciria chiuse da anni.
Quando le truppe in divisa tagliano quella Croce, Costanza trattiene le lacrime, per antico orgoglio, come i suoi antenati fecero in passato, ad ogni assalto, ad ogni rovescio della sorte.
I camion portano via marmi stucchi e gessi, e sulla piazza, giace orfana una culla sconnessa, sulla quale riposano poche tracce di quel capolavoro.
Sulla piazza, rimane la munnizza pulita, organica, marcescente.
Quella sporca, blasfema, migra verso il Purgatorio di Bellolampo.
La storia è già sui cartelli dei Cantastorie di Balarm, un sito web che, a migliaia d’abbonati alla newsletter quotidiana, racconta di Palermo e dei suoi eroi - artisti, scrittori, teatranti - e che deve aver confuso Palermo con Parigi o con New York o con Berlino, per l’evidente smisuratezza delle sue pagine.
A Palermo, Uwe è arrivato per caso.
Qualcuno, nella sua Bregenz, gli disse un giorno di buttar via le sue tele, le sue installazioni in due povere case dirute. “A Palermo, a Palermo”, disse l’amico, che a Palermo aveva vissuto, proprio in Piazza del Garraffello: un luogo magico, fuori dal tempo, che colpì Uwe fino a stordirlo.
Uwe s’è risvegliato in un Regno tutto suo; prima di lui, era abbandonato, terra di nessuno.
Le sue opere mobili, che gravitano intorno all’installazione che da sette anni si ripete e si rinnova - dai primi fiori disposti ordinatamente in quelle diciannove logge oscene, sino all’edificazione della Cattedrale – Uwe le ha vendute altrove: a San Francisco, a Zurigo, a Vienna.
“Sono uno straniero”, dice Uwe, “e qui a Palermo ci sono solo stranieri di terza classe. In passato non era così” (tanto è vero che un austriaco, suo semiconterraneo, Joseph Hager, nel Settecento struccò l’arabica impostura dell’Abate Vella - autore di un falso documento che minava l’autorità dei baroni e gli affidamenti reali delle loro terre - e cambiò per onestà o per vanteria la storia della Sicilia, che per un altro secolo rimase feudale).
Palermo ha acquistato una sola opera di Uwe, in sette anni: una fotografia cinquanta per settanta dell’Ufficio, della tana: vista e comperata da Antonio Ardizzone, editore del Giornale di Sicilia.
Non deve stupire, poi, che sui Fatti del Garraffello sia stata aperta un’inchiesta ed Uwe e Costanza siano stati chiamati in Procura a risponder delle loro visioni.
Si è levata una sola protesta, dopo il ventuno novembre: del nuovo assessore comunale alla Cultura, Tommaso Romano, conservatore colto e gentile, per il quale “l’attentato alla libertà d’espressione, e quindi alla libertà dell’arte, è assolutamente inconcepibile”.
La Vucciria, che già in inconsapevole agonia fu ritratta da Renato Guttuso, ora è un deserto. Il primo colpo, al Mercato, lo inferse il trasferimento dell’antica fontana a Piazza Marina, secoli fa; poi, il taglio di Via Roma; infine, la nascita dei supermarket, che hanno svuotato di senso le “abbanniate”, i canti da Muezzin senza più minareti che magnificavano – nel Suq, nella Boucherie: il Mercato delle Carni – la freschezza del pesce appena pescato, il profumo della frutta, la seta delle verdure, la fragranza delle spezie.
Sono spariti, per conseguenza, i vasi di miele e gli sciami di perditempo, di allisciabalàte, opposti simmetrici degli ingravidabalconi catanesi, occhi bassi contro occhi alti, punici contro greci, caos contro ebbrezza, Baal contro Dioniso.
Nella seconda parte del Novecento, e ancora oggi, Palermo ha seguito come una Fede la sua Estetica della Rovina. I bombardamenti, che aprirono un cuneo nel Centro storico, condussero alla cementificazione delle periferie e ad un inspiegabile ostinato rifiuto dell’architettura contemporanea, e infine, ad un Piano di Restauro votato all’imbalsamazione del cadavere (il morto restava in casa, ma avrebbe smesso di puzzare).
La riconsacrazione della piazza del Garraffello – di Palazzo Rammacca, di Palazzo Mazzarino, della Loggia dei Catalani – si deve, o si doveva, al Genio di un tedesco e di una nobildonna palermitana.
L’ironia adottata nei confronti di quest’eccentrica Fede Estetica è testimoniata dalla copertina del catalogo appena stampato da Uwe sull’installazione della Cattedrale, con i grattacieli di Chicago sovrapposti alle rovine di Palermo, tra mare e terraferma.
Da studi e gallerie, al Garraffello, son passate la Nuova e la Nuovissima scuola di pittori palermitani, da Alessandro Bazan al Laboratorio Saccardi; e nella Suite 25, l’alcova di Uwe, hanno soggiornato decine di artisti contemporanei, giunti da ogni parte del mondo.
“Tu sei Uwe”, dice la Santuzza (e su queste pietre…).
Difficile non crederle.

Così scrivevo di Uwe. Poco fa.

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